La sera del 5 dicembre siamo stati al live milanese di Ibisco alla Santeria Toscana 31. A raccolta tutti gli amici ed estimatori, per un ascolto rituale tra i fari e il fumo della sala. Racconti collettivi e un’interiorità capace di trasferirsi dal palco alle vene delle prime file. Quesiti senza risoluzione, perdite che restano tali, immobilità che vengono spazzate via dal vento. Ibisco fa percepire una particolare tensione che deriva anche dal ripetersi del verbo “inibire” e “limitare” nei testi, in contrapposizione alla libertà fino all’eccesso, astinenza in contrapposizione alla dipendenza.
Filippo porta con sé tutta la cruda dolcezza della nebbia padana, ma anche la netta differenza tra la nebbia milanese e quella emiliana, dai lati opposti della pianura. “Già che siamo venuti a Milano” suggerisce Ibisco, in una terra che va molto più veloce e corre più in superficie rispetto alla terra agitata solo nel sottosuolo della provincia bolognese. Ciò che corre nell’underground di tutto il nord Italia è questa febbre scura ed elettronica.
Musica che è “una cosa seria” e “salva dallo smarrimento”, come Ibisco vuole ricordare soprattutto a sé stesso.
Alcune frasi dell’album “LANGUORE” che restano addosso:
“E chi vuole l’infinito predica l’eccesso” (Alcolicixbenzina)
“Penserai che forse quello che ti va di fare è lo stesso che ti manca e che difenderai” (Albanera)
“Jane, ti prego, vivi triste, scegliti un amore triste, che ti renda stupida, che ti dia serenità” (Jane finisce)
Articolo di Valentina Bellini
Foto di Riky Angelini